ROMANZO
CAPORALE DI ANNIBALE GAGLIANI
(I
QUADERNI DEL BARDO EDIZIONI DI STEFANO DONNO)
Lo
Zibaldone “la chimica dei poeti” via San Vitale 66/b Bologna
18
febbraio 2020 ore 18.30
Dialogano
con l'autore
lo
scrittore Andrea Donaera, e i poeti Pietro Romano e Nicola Manicardi
Presentazione-dibattito
di "Romanzo Caporale" presso Lo Zibaldone "la chimica dei
poeti" di Bologna, in Via San Vitale 66/b. Dialoga con l'autore lo
scrittore Andrea Donaera (NN Editore), che ha conquistato pubblico e critica
con il romanzo "Io sono la bestia"; interventi dei poeti Pietro
Romano e Nicola Manicardi, autori della collana "Z" de I Quaderni del
Bardo edizioni diretta da Nicola Vacca e tradotti in Messico, Romania e Russia.
L'ingresso è gratuito
.La
fine dell’uomo nel caos italiano. Sulla terra vermiglia della Cava di Bauxite,
a Otranto, il suicidio narra, attraverso il flusso di coscienza, la vita da
cacciatore di lucciole del protagonista, che ricorda l’Alì dagli occhi
azzurri di Pier Paolo Pasolini.
Un
condottiero possibile del Kenya, animato da due modelli filosofici: don Donato
Panna e Thomas Sankara. La corruzione politica del suo Paese lo costringe a
fuggire in Italia col sogno di costruire un avvenire di pace per la sua
famiglia. La disumana navigazione sul Mediterraneo lo conduce in una terra
intollerante, avvolta da buio impenetrabile. Ma lui, come Sisifo, porta il
masso sopra la montagna. Diventa schiavo del caporalato, ma non s’arrende:
sfida il Fattore C sedimentato tra le sinapsi della gente comune. La
tragedia, dalla sequenza circolare, ha due insegnanti autorevoli: la storia e
il dolore. Il giovane antieroe è l’effige più lucida dello stoicismo di Lucio
Anneo Seneca.
Dalla
prefazione di Fabrizio Peronaci: «In un tempo in cui le semplificazioni e il
corrivo andare incontro agli umori malmostosi della piazza hanno un triste ma
indiscusso sopravvento, guardare le cose attraverso gli occhi azzurri e i sensi
in fibrillazione di un giovane sognatore africano può diventare operazione
poetica e rivoluzionaria allo stesso tempo. Per la sua valenza conoscitiva, per
l’umano calore che promana e per qualcosa di cui le classi governanti
(italiane, europee, planetarie) dovrebbero farsi artefici veri, al di fuori e a
prescindere dal mainstream: una cultura autentica dello scambio, del confronto
e del comune sentirsi sotto lo stesso cielo, che azzeri distanze e diffidenze
tra popoli e con esse tentazioni al comando e automatismi belligeranti. Il
protagonista di “Romanzo caporale” – alter ego in versione nero ebano dell’autore
e dei tanti perplessi e orgogliosi di essere minoranza, sulla questione
migranti, all’ombra dello zeitgeist – ha un grande merito: modificare il punto
di vista, sforzarsi di assumere una prospettiva africocentrica, ferma restando
la consapevolezza che non è il luogo natio a dirimere ma il cuore e la
passione, il sentimento della condivisione, lo stesso che orgogliosamente
conduce nei paesi più poveri e disarmati quei paladini della dignità e della
giustizia che sono i missionari, laici o con i voti poco importa. Come il
sacerdote pugliese amico del ragazzo kenyota che si propone come leader di un
movimento di liberazione politica e delle coscienze, ma finisce nel mirino
della polizia locale ed è costretto alla fuga… La trama accende una luce dove
prevale il buio dell’egoismo e della diffidenza. Dall’Africa all’Italia, dove
“le cose erano cambiate drasticamente” ma la passione tra un uomo e una donna
ha sempre lo stesso sapore, e “i baci profumano di ciliegia”, il viaggio di
Annibale Gagliani racconta la violenza ottusa degli sfruttatori e l’indomabile
istinto di fratellanza dei calpestati, la stolta ferocia della crescente
intolleranza e la fiera dignità di chi accoglie e include, nel nome di una
cristiana solidarietà e di un illuministico progresso della stirpe».
Dalla
postfazione di Raffaele Gorgoni: «È il Cuore di tenebra della porta
accanto […] le pagine di Annibale seguono, passo dopo passo, il doppio
itinerario fisico e mentale di un migrante, con la precisione straziante di chi
sa, in un mondo che si accanisce nel fingere di non sapere. Se l’abiezione del
neocolonialismo è del tutto dispiegata nella sua macabra efficacia, la non
sorpresa è che l’Europa si sta, in questo scorcio di millennio, ricongiungendo
alla sua identità più degradata. Tutto quello che si riteneva sepolto per
sempre sotto le macerie della Seconda Guerra Mondiale è più vivo che mai. […]
L’Europa, l’altra Europa, quella che dopo gli orrori del nazismo, del fascismo,
del franchismo e del salazarismo e di Vichy, scandì le retoriche del mai più,
oggi balbetta la sua indignazione e incespica in ovvietà buonsensaie. Ma il
migrante raccontato da Annibale Gagliani sa. Sa che non saranno i solidarismi
pietistici e ancor meno il charity business a strappare l’Africa e il suo
popolo in fuga alla miscela letale di neocolonialismo e insorgente razzismo che
l’Occidente inietta nelle sue stesse vene. […] Gagliani racconta con cruda
nettezza che l’ultimo domicilio conosciuto del migrante sono le estreme
periferie degradate della metropoli o i tuguri e le bidonvilles dei lavoranti
in agricoltura … meglio dire le vite nelle mani della criminalità organizzata
in un caso o dei caporali nell’altro. Il caporalato è essenza dell’essenza di
questa narrazione».
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