giovedì 14 novembre 2019

Stato-mafia, Berlusconi sceglie il silenzio avvalendosi della facoltà di non rispondere

"Presidente, su indicazione dei miei avvocati intendo avvalermi della facoltà di non rispondere". In un'aula bunker blindata oltremisura e presa d'assalto dai giornalisti come ai tempi del giorno della sentenza, come previsto l'ex Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sceglie la via del silenzio.
Chiamato a deporre al processo trattativa Stato-mafia dopo la citazione da parte della difesa di Marcello Dell'Utri, l'audizione è durata poco più di due minuti. Il tempo di prendere posto sul banco dei testimoni, ascoltare l'avviso del Presidente della Corte d'Assise d'appello Angelo Pellino, che ha rivolto gli avvisi di legge, ed esprimere la propria volontà di non rispondere alle domande che gli sarebbero state poste dalle difese, dai pm e dalla Corte.
Nessuna sorpresa dunque. Nessun colpo di scena. Del resto era tutto prevedibile.
Già al processo Dell'Utri, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, nel 2002, aveva preso una decisione simile.
Ed oggi non ha cambiato idea, come consigliato dai suoi avvocati, Franco Coppi e Niccolò Ghedini. Non a caso nei mesi scorsi i due legali avevano chiesto di definire in quale veste giuridica svolgere l'audizione: se come teste o indagato di reato connesso.
Così è stata confermata in via ufficiale l'indiscrezione che Berlusconi è attualmente indagato a Firenze per le stragi del 1993 e del 1994, strettamente collegate al processo sulla trattativa Stato-mafia.
Quando a luglio la Corte aveva accolto la richiesta della difesa Dell'Utri, dispose la citazione di Berlusconi per riferire "quanto sa a proposito delle minacce mafiose subite dal governo da lui presieduto nel 1994 mentre era premier".
Ma nessun chiarimento ulteriore è stato possibile su questi punti con tante domande destinate a rimanere senza risposta.
Secondo la sentenza di primo grado la minaccia fu trasmessa tramite l'ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell'Utri, condannato in primo grado a 12 anni per attentato a corpo politico dello Stato assieme a ufficiali dell'Arma e capi mafia.
I giudici, nelle motivazioni della sentenza di primo grado, avevano scritto che "con l'apertura alle esigenze dell'associazione mafiosa Cosa nostra, manifestata da Dell'Utri nella sua funzione di intermediario dell'imprenditore Silvio Berlusconi nel frattempo sceso in campo in vista delle politiche del 1994, si rafforza il proposito criminoso dei vertici mafiosi di proseguire con la strategia ricattatoria iniziata da Riina nel 1992". Inoltre, si legge, che nonostante non vi sia “prova diretta dell'inoltro della minaccia mafiosa da Dell'Utri a Berlusconi, perché solo loro sanno i contenuti dei loro colloqui, ci sono ragioni logico-fattuali che inducono a non dubitare che Dell'Utri abbia riferito a Berlusconi quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con l'associazione mafiosa Cosa nostra mediati da Vittorio Mangano”.
Parole che si aggiungono a quelle scritte nero su bianco nella sentenza definitiva che ha condannato Dell'Utri per concorso esterno.



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