di
Margherita Furlan
Rwm,
la fabbrica di bombe situata a Domusnovas in Sardegna, triplicherà
la
sua produzione e aprirà due nuovi reparti produttivi nel comune di
Iglesias. La richiesta di autorizzazione all’ampliamento
è stata formulata in modo che i due nuovi reparti impiegati nel
processo di miscelazione, caricamento e finitura di materiali
esplodenti non vengano inquadrati come impianti chimici, così da
eludere le valutazioni d’impatto ambientale e il coinvolgimento
della Regione Sardegna. La produzione passerà
da
5mila a 15mila bombe all’anno.
La
fabbrica è una filiale dell’azienda
tedesca di armamenti Rheinmetall, il cui presidente Papperger già
a
maggio scorso dichiarava, durante il consiglio di amministrazione, il
rinnovo di investimenti per il sito di Domusnovas. I progetti di
espansione oggi però vanno nella direzione contraria a quella
indicata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, che in relazione al
caso Kashoggi ha minacciato di sospendere il commercio di armi con
l’Arabia
Saudita. Di fatto però la Merkel sa benissimo che in mancanza di una
regolamentazione definita sulle filiali all’estero,
le grosse aziende tedesche di armi possono continuare a commerciare
impunite.
Le
armi esportate dalla Sardegna hanno destinazione Arabia Saudita,
petromonarchia impegnata dal 2015, con l’appoggio dell’Occidente,
nella guerra nello Yemen, anche attraverso bombardamenti
indiscriminati sulla popolazione, definiti da un rapporto ONU del
gennaio 2017 “crimini di guerra”. Tra gli ordigni ritrovati dai
ricercatori dell’Onu
nel Paese più povero al mondo figurano anche le bombe prodotte dalla
Rwm Italia.
“Anche
lo Yemen era, prima della guerra, come la Sardegna, una regione che
attirava turisti da tutto il mondo, ricorda il Comitato Riconversione
Rwm in un comunicato datato 13 novembre. Pierpaolo Pasolini negli
anni Sessanta lo definì il Paese più bello del mondo mentre la
capitale Sana'a fu dichiarata dall'Unesco patrimonio dell’umanità”.
Ma se nelle dichiarazioni politiche viene messa in discussione la
possibilità
di
commerciare con l’Arabia
Saudita, nei fatti quando si parla di affari milionari, la
solidarietà
tra
i Paesi coinvolti risulta più compatta che mai. Al prossimo G-20 di
Buenos Aires sarà
infatti
presente il principe saudita Mohammed bin Salman, considerato da
Washington, e quindi da tutto il mondo, il mandante
dell’assassinio
del giornalista Khashoggi. Dopo un certo imbarazzo, MBS verrà
riaccolto
da una comunità
internazionale
che non ha intenzione di perdere né
una
goccia di petrolio né
una
commessa militare di Ryadh.
In
Italia la legge 185/1990 vieta “l’esportazione,
il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione
di materiali di armamento verso i Paesi in stato di conflitto
armato”.
Nonostante ciò, il governo a guida Pd l’anno scorso ha dato
l’autorizzazione
alla più grande commessa singola della storia del dopoguerra
italiano: 411 milioni di euro di armamenti, prodotti dalla Rwm
Italia, corrispondenti a circa 20mila bombe. Una commessa fortemente
criticata dal Movimento 5 Stelle quando era all’opposizione.
Ma oggi, nei primi sei mesi del 2018, l’export
relativo a quella commessa è proseguito e ha fatto registrare
vendite per 36 milioni di euro, di cui oltre 10 milioni solo a
giugno, nei primi 30 giorni di vita del governo Conte.
Seguendo
i dati Istat, anomalo è anche il dato relativo all’export di armi
leggere dall’Italia verso l’Egitto. Nel 2015, l’interscambio
commerciale tra i due Paesi è arrivato a superare i 7 milioni di
euro. A febbraio 2016 esplodeva il caso Regeni e l’export
di armamenti verso Il Cairo calava drasticamente: circa 1,5 milioni
di euro nel 2016 e 2,1 milioni nel 2017. Il 2018 si è aperto
in linea con i numeri registrati nel 2016: nei primi sei mesi
l’Italia
ha esportato
armi in Egitto per 766mila euro. Poi però qualcosa di anomalo è
successo e nel solo mese di giugno quasi 2 milioni di euro in armi
hanno viaggiato dall’Italia al Paese del lungo Nilo.
L’esecutivo
potrebbe obiettare che -
spiega
Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio
permanente sulle armi leggere (Opal) di Brescia -
“sia
nel caso dell’Egitto
che in quello dell’Arabia
Saudita, si tratta di accordi firmati molto probabilmente dai governi
precedenti. Ma il governo ha la responsabilità
di
privilegiare l’aspetto
economico sul rispetto dei diritti umani”, conclude Beretta,
raggiunto da Il Fatto Quotidiano.
Luigi
Di Maio, pochi giorni dopo lo scoppio del caso Regeni, chiedeva
al governo Renzi “di
sospendere immediatamente l’export
di armi dall’Italia
verso Il Cairo".
A settembre il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, annunciava,
sempre via Facebook, un sollecito al ministro degli Esteri, Moavero
Milanesi, sull’export di armamenti verso i Saud. Ma il
sottosegretario Guglielmo Picchi replicava immediatamente:
“Il
processo autorizzativo italiano per l’export di materiali
di difesa con
l’Arabia
Saudita è rigoroso e
coinvolge pienamente il ministero della Difesa. Se cambia l’indirizzo
politico, il governo sia consapevole di ogni conseguenza
negativa occupazionale e commerciale“.
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